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capillare su una goccia di sangue,
i test salivari HIV e HCV
sono momentaneamente sospesi.

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*30 minuti prima di sottoporsi al test, evitare di mangiare, bere, fumare o masticare gomme.

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*30 minuti prima di sottoporsi al test, evitare di mangiare, bere, fumare o masticare gomme.

*30 minuti prima di sottoporsi al test, evitare di mangiare, bere, fumare o masticare gomme.

Nelle fasce orarie indicate. Accesso libero, anonimo e gratuito al test per HIV e HCV, fino ad esaurimento dei test disponibili.

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Conoscere-HIV

Human
L’uomo è il bersaglio del virus

Immunodeficiency
Virus che causa un deficit delle difese immunitarie

Virus
Di natura virale

Il virus HIV può colpire molte cellule del sistema immunitario, ma ne predilige una in particolare: alcuni globuli bianchi (i linfociti), che aiutano ad orientare e potenziare le risposte immunitarie contro le infezioni. I bersagli di HIV sono i linfociti T CD4+ perché possiedono il recettore CD4, la “chiave” utilizzata dal virus per entrare in queste cellule del sangue e dei tessuti.

Una volta penetrato nei linfociti CD4+, il virus compromette la loro funzione e ne provoca la progressiva eliminazione: le difese immunitarie diventano di conseguenza sempre più deboli ed inefficaci.

Quando le cellule CD4+ del sangue scendono sotto il limite di 200/mm3, le persone possono diventare molto vulnerabili a molteplici infezioni in diversi apparati (tratto gastroenterico, polmoni, cervello, ecc.), così come possono manifestare un debilitante dimagramento, disturbi neurologici oppure tumori (ad es. linfomi, sarcoma di Kaposi).

È così che l’infezione da HIV progredisce nella Sindrome da Immuno- Deficienza Acquisita (AIDS).

Il virus viene il più delle volte trasmesso durante un rapporto sessuale non protetto (cioè senza profilattico) da una persona già contagiata ad un’altra. Questa è la via di diffusione del virus più abituale e frequente: 5 persone su 6 nel mondo occidentale contraggono l’infezione in questo modo.

Il virus può attraversare i tessuti che rivestono la vagina, il pene, il retto. La probabilità di passaggio del virus aumenta quando i tessuti non sono integri: per esempio per piccoli traumi durante l’atto sessuale o per la presenza di patologie che provocano infiammazioni, ulcere o altre lesioni genitali. Da qui l’importanza delle “protezioni” (sono disponibili profilattici di diverso tipo per entrambi i partner).

È sorprendente l’ingegnosità utilizzata dall’HIV per farsi letteralmente trasportare dai tessuti periferici verso le sedi più ricche di linfociti CD4+, come i linfonodi, attraverso le cellule dendritiche o i macrofagi.

All’inizio dell’epidemia il sangue ha veicolato il virus ed ha contagiato persone sottoposte a trasfusione di sangue o emoderivati fino alla metà degli anni ‘80. Lo screening dei donatori ha quasi totalmente eliminato questo problema. A tutt’oggi il sangue rimane la via di trasmissione per i tossicodipendenti che si scambiano la siringa per iniettarsi droghe.

In ospedale, il rischio per i pazienti, i medici e gli infermieri (a contatto con campioni infetti) è oggi pressochè scomparso, perchè tutti gli operatori sanitari si comportano secondo le norme di sicurezza, evitando il contatto con qualsiasi materiale biologico ed utilizzando strumenti monouso e sterili.

Quasi tutti i bambini colpiti dall’HIV hanno contratto l’infezione dalla madre, sia durante la gravidanza (soprattutto al momento del parto!) sia con l’allattamento. L’esposizione al sangue materno è particolarmente importante durante il passaggio
nel canale vaginale. Per questo motivo, oltre alla profilassi con farmaci antiretrovirali durante la gravidanza, è stato adottato il parto cesareo ovunque sia possibile, riducendo sensibilmente il rischio di infezione per il neonato.

L’HIV, una volta penetrato nell’organismo, si moltiplica rapidamente: ogni giorno possono essere prodotti miliardi di nuove particelle virali. Inoltre, in ogni individuo si possono sviluppare numerose varianti del virus che sfuggono al controllo da parte del sistema immunitario (anticorpi, linfociti T).

Dopo un certo periodo di apparente “silenzio”, variabile da alcuni mesi a qualche anno, l’infezione da HIV inizia a compromettere lo stato di salute.

Insorgono e si ripetono facilmente infezioni respiratorie e possono comparire micosi sulla cute o sulle mucose. Il sistema immunitario viene continuamente sollecitato e comincia a non essere più in grado di rispondere con efficacia.

L’individuo colpito avverte i primi sintomi causati dall’infezione latente: s’ingrossano i linfonodi, c’è febbricola continua accompagnata da sudorazione profusa e dimagrimento.

Successivamente le infezioni colpiscono diversi organi, diventano sempre più gravi e persistenti (in particolare, diarrea) e si può manifestare una tubercolosi.

Altri microrganismi, già presenti nell’ospite e normalmente innocui, “approfittano” dello stato di immunodeficienza per svilupparsi ed invadere vari distretti corporei, soprattutto a livello gastrointestinale, polmonare e cerebrale e dare origine a gravi infezioni disseminate e recidivanti.

Per anni abbiamo ipotizzato che ogni gene (DNA/RNA) avesse un suo inizio, un suo scopo e una sua fine: indicare alla cellula come costruire una proteina. Così pensavamo che il patrimonio genetico dell’HIV funzionasse più o meno nello stesso modo, dopo essersi inserito nel nucleo della cellula ospite.

Invece abbiamo scoperto che ogni piccola porzione di gene virale può codificare per diverse proteine: e questo è ancora comprensibile. Ma strabiliante è stata la scoperta che l’HIV può mutare rapidamente, leggere il proprio codice genetico spostandone la sequenza, come se creasse nuove parole, diventando irriconoscibile agli anticorpi ed alle cellule deputate alle difese antivirali; eludendo così l’efficacia delle difese immunitarie e le cure farmacologiche.

L’HIV ha inoltre una notevole capacità di adattarsi a condizioni sfavorevoli alla sua sopravvivenza (esempio: presenza di farmaci antivirali) sviluppando resistenza nei confronti degli antiretrovirali impiegati.

Oggi sono fortunatamente disponibili strategie terapeutiche, appositamente
sviluppate per contrastare con efficacia anche la capacità di cambiamento continuo del virus che si traduce in mutazioni genetiche che conferiscono resistenza alla terapia antiretrovirale.

A partire dalla seconda metà degli anni ‘90, si è osservato un netto calo dei casi di AIDS, grazie all’introduzione di trattamenti antiretrovirali combinati, oggi chiamati terapie antiretrovirali ad elevata attività (Highly Active Antiretroviral Therapy o HAART).

La HAART ha modificato la storia della malattia da HIV ma anche la genesi della malattia stessa.

Cambiamenti in positivo
• Regressione dei sintomi e della malattia AIDS
• Notevole riduzione delle percentuali di progressione dell’infezione (tempo tra il contagio e l’esordio dell’AIDS)
• Prolungamento significativo della sopravvivenza
• Minore numero di casi di AIDS conclamato e di decessi
• Migliore qualità della vita, nella maggior parte dei pazientiseguiti
• Diminuzione di casi tra tossicodipendenti; scomparsa deicasi da trasfusione, ecc.
• Riduzione delle percentuali di trasmissione da madre a figlioquindi diminuzione di AIDS pediatrico
• Riduzione della contagiosità delle persone trattate

Cambiamenti in negativo
• Riduzione della percezione del rischio in ampie fasce di popolazione
• Aumento continuo del serbatoio di infezione
• Maggiore numero di nuovi casi in aree provinciali rispetto ai grandi centri urbani
• Scarsa propensione a sottoporsi al test e diagnosi tardiva di infezione
• Aumento dell’età di infezione/diagnosi (dopo i 40 anni)
• Aumento dell’infezione nella popolazione femminile
• Aumento dei casi in persone provenienti da aree a più elevata pandemia

Dopo una fase di stabilizzazione l’incidenza di nuove infezioni è diminuita solo lievemente tra il 2012 ed il 2016, certamente al di sotto di quanto ci si poteva aspettare in base alla marcata riduzione del rischio di trasmissione da parte dei sieropositivi con viremia negativizzata dall’HAART.

In questi anni, oltre all’indubbio miglioramento della prognosi ed all’ondata di ottimismo e fiducia che ne è derivata va aggiunta la disponibilità di trattamenti più semplici. È attualmente possibile diminuire il numero di compresse da assumere ogni giorno: da più di dieci ad una soltanto. Al tempo stesso, questi trattamenti
sono più efficaci e meglio tollerati.

Paradossalmente, però, questi progressi hanno condotto ad un’ingiustificata sottovalutazione del pericolo di contagio.

Un esempio paradigmatico che fa riflettere: solo in Lombardia si riscontrano oltre 1.000 nuove infezioni all’anno e 26.000 persone sieropositive, con un terzo di persone sieropositive che non sa di esserlo (decine di migliaia di persone non si ritengono a rischio e vivono senza essere a conoscenza dell’infezione che minaccia
la loro salute).

A Milano ci sono annualmente più di 400 casi di nuova infezione.
Nell’ultimo anno le nuove diagnosi sono aumentate del 20% e, nella fascia d’età tra i 25 e i 29 anni, i nuovi contagi sono aumentati del 40%.

Un consistente numero di ultraquarantenni continua a praticare attività sessuali ad alto rischio (chiede prestazioni senza protezione, ha frequenti rapporti occasionali con persone diverse, ecc.); e nonostante conosca tutto ciò che si deve sapere sulla prevenzione dell’AIDS, continua a ritenersi immune dal rischio di venire contagiato dall’HIV e non usa il profilattico.

È utile ricordare che le donne, esposte a rapporti ricettivi, hanno un rischio di contrarre l’infezione aumentato del 40% rispetto al partner in caso di rapporti peno-vaginali e ben più elevato in caso di rapporti anali.

Il primo interrogativo a cui ciascuno dovrebbe dare una risposta riguarda il proprio “stato sierologico”.
Il test di screening è alla portata di tutti, per sapere subito e con sufficiente affidabilità se è avvenuto o no il contagio da parte dell’HIV.

• Recentemente è stato messo a punto un test ematico rapido da pungi-dito: affidabilissimo in termini di specificità e sensibilità, questo metodo di facile esecuzione a casa attualmente si fa preferire in quanto fornisce una risposta pressochè immediata sulla presenza o meno di anticorpi aventi HIV (2′-3′). Il test può dare due risposte: se è negativo esclude l’avvenuto contatto con l’HIV; mentre la positività esprime la presenza di anticorpi specifici anti-HIV che vengono prodotti dopo l’esposizione al virus. Come tutti i test di screening, anche in questo caso, per quanto altamente indicativo, il test non dà una risposta definitiva circa l’avvenuto contagio. Un esito positivo deve essere confermato dall’esame standard su sangue.

• Un altro test rapido su saliva consente di fornire ai pazienti una risposta entro pochi minuti. È importante, a tale proposito, dare un chiarimento: la saliva non è in grado di trasmettere il virus in quanto contiene solo anticorpi specifici rivelabili con il test. Per questo motivo, il bacio (anche profondo) è considerato un comportamento privo di rischio. Attualmente il test salivare è utilizzato nei paesi industrializzati solo nel contesto di campagne di prevenzione.

Test ematico tradizionale. Basta un semplice prelievo di sangue per verificare la presenza di anticorpi specifici, grazie ad una particolare tecnica disponibile in tutti i laboratori di analisi. Il test di regola è gratuito e riservato, anche se, in molti laboratori e centri di screening il test viene eseguito a fronte del pagamento del ticket e/o esibizione della tessera sanitaria. Gli stranieri senza permesso di soggiorno godono dello stesso diritto dei cittadini italiani.

Chi dovrebbe farlo?
Tutte le persone sessualmente attive dovrebbero eseguire il test, è fortemente raccomandato quando si inizia un rapporto stabile e prima della gravidanza e, in ogni caso, se si pensa di aver avuto rapporti sessuali a rischio non protetti.

Qual è il momento più opportuno?
Ci si può sottoporre al test in qualsiasi momento. Bisogna tuttavia ricordare che gli anticorpi anti-HIV compaiono in genere dopo 1-2 mesi dal contagio, ma talora anche tre mesi dopo. Tale intervallo corrisponde al cosiddetto “periodo finestra”, compreso per l’appunto tra il momento del contatto con il virus e la siero-conversione. Per questo motivo, in caso di pregressi comportamenti a rischio è bene effettuare il test al terzo e dopo il sesto mese dall’ultimo rischio di contagio.

Come viene garantita la privacy?

Il test è effettuato solo con il consenso della persona. Il risultato del test è riservato e viene comunicato e consegnato alla sola persona che lo ha effettuato. Attraverso il counselling il medico spiegherà il significato del risultato del test.

Quali sono i vantaggi?
La conoscenza precoce dell’eventuale sieropositività deve essere la premessa di una cura altrettanto tempestiva, che consente di evitare la progressione dell’infezione da HIV verso una grave malattia (AIDS), con un radicale miglioramento della qualità e dell’aspettativa di vita futura.

Cosa significa scoprire di essere sieropositivi?
Posto, come già affermato, che l’infezione da HIV/AIDS oggi si può curare, la condizione di sieropositività implica l’avvio di un percorso caratterizzato da una diagnosi approfondita dello stadio dell’infezione, da una costante sorveglianza ed osservanza delle cure che si dovessero rendere necessarie. Purtroppo la sieropositività è ancora, talvolta, causa di discriminazione e motivo di pregiudizio ed emarginazione, dovuti alla paura del contagio, anche se l’unica modalità di trasmissione dell’HIV è attraverso il sangue infetto, i rapporti sessuali o la trasmissione da madre a figlio.
Soltanto una corretta informazione e la presa di coscienza di quanto sopraesposto possono aiutare a superare questi preconcetti tuttora radicati nella mentalità comune.

Se quello di sapere è un diritto innegabile di ciascuno, nel caso dell’AIDS si può affermare che verificare e chiedere di sapere è un dovere di tutti.

Sottoporsi al test significa non soltanto togliersi ogni dubbio ed evitare di mettere a repentaglio la propria salute e quella degli altri: si stima infatti che quasi un terzo dei sieropositivi complessivamente 130mila allo stato attuale in Italia non conoscono il loro stato sierologico (cioè ignorano di avere contratto l’infezione) e possono trasmettere il virus inconsapevolmente.

Fare il test è quindi un modo per acquisire consapevolezza ed interrompere il primo anello della catena degli eventi che portano alla trasmissione del virus, attraverso comportamenti idonei ad evitarla.

Uno dei fenomeni che continuano a destare preoccupazione, del resto, è rappresentato dalla significativa quota (in media circa la metà, ma il dato sale al 70% se si considerano solo gli eterosessuali) di persone che scoprono la propria sieropositività nel momento in cui si pone la diagnosi di AIDS, mentre questo avveniva soltanto in un caso su cinque nel 1996.

In mancanza di un vaccino che protegga dal contagio, la prevenzione della trasmissione rimane l’unica strada attualmente percorribile.

Il test è quindi complemento inscindibile dall’informazione, dalla coscienza individuale e dall’attenzione con cui si concretizza la responsabilità sociale di ogni individuo.

Qualunque esame induce una certa preoccupazione sul suo possibile esito. Facciamo un esempio: la misurazione della pressione, per quanto semplice e immediata, può essere falsata da uno stato d’ansia innescato a sua volta dalla paura del risultato.

Il test per l’HIV non subisce cambiamenti in base allo stato d’ansia, ma impone il superamento della comprensibile ritrosia che ciascuno potrebbe avere.

L’atteggiamento sbagliato, però, è quello di nascondersi o sfuggire alle proprie responsabilità individuali e sociali.

A ciò si aggiunge un’altra importante considerazione. Qualsiasi decisione in ambito clinico viene oggi presa sulla base di un criterio fondamentale: il rapporto costo/beneficio, dove per costo si intende l’impegno di risorse in senso lato. Pensiamo allora al test dell’HIV: pochi minuti del proprio tempo e uno sforzo per vincere la reticenza ed i propri timori valgono bene il vantaggio di essere informati per tempo di avere contratto un’infezione oggi curabile!

La prevenzione consiste in un insieme di misure da attuare il test non va considerato una misura preventiva ma è un indicatore di uno stato sierologico e non deve mai fare paura perché è, al contrario, la dimostrazione tangibile della volontà di tutelare con un semplice atto la propria salute e quella altrui.

Nella nostra società e, soprattutto, in quella futura, la prevenzione è e sarà una priorità per  tutti. Prevenire significa conoscere, per poter prevedere, limitare e precorrere i possibili danni  legati a un evento e trasmettere agli altri, attraverso il proprio comportamento, questo stesso  valore. Certe forme di prevenzione so- no obbligatorie, come alcune vaccinazioni e l’uso delle  cinture di sicurezza o del casco, altre sono lasciate alla buona volontà del singolo come il  profilattico.

La ricerca ha fatto passi da gigante nella cura dell’AIDS e dell’infezione da HIV e i risultati  sono sotto gli occhi di tutti. Per questo merita interesse: tutte le malattie, se fosse possibile scoprirle subito al loro esordio, potrebbero essere efficacemente combattute, con il minimo  disagio e la minima spesa per la comunità.

Non permettiamo che l’infezione da HIV e l’AIDS continui- no a diffondersi soltanto per paura,  pigrizia, indifferenza ed incoscienza! La prevenzione non può prescindere dal supporto  dell’informazione e della conoscenza.

È bene che ogni cittadino sappia cosa implica contrarre e tra- smettere l’infezione da HIV, come  avviene il contagio e perché non si debba mai abbassare la guardia su questa infezione, anche se oggi se ne parla molto meno di un tempo.

Prevenzione-HIV
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Nella sfera sessuale adotta comportamenti sicuri, mirati alla salvaguardia della tua salute e di quella altrui (ricorda l’uso del profilattico).

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Esegui periodicamente il test, specialmente quando hai avuto comportamenti a rischio.

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Informa i tuoi partner e conviventi potenzialmente esposti al rischio di contagio e raccomanda loro il test.

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Non perdere tempo, in caso di avvenuto contagio: precocità di diagnosi e cura consentono un notevole miglioramento della prognosi ed evitano la trasmissione del virus.

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Ricorda che la paura, la vergogna e l’ipocrisia sono i peggiori nemici della consapevolezza e del senso di responsabilità, qualunque sia la condizione che viviamo.

…e non dimenticare che HIV …si può accompagnare ad altre malattie sessualmente trasmesse come l’HCV.

Conoscere-HCV

Il termine epatite significa alla lettera “condizione infiammatoria del fegato”, che nella maggior parte dei casi è riconducibile ad un agente infettivo virale. La lettera “C” indica invece il tipo di virus responsabile, la cui sigla completa è HCV (“Hepatitis C Virus”: virus dell’epatite C).

L’HCV appartiene alla famiglia dei Flaviviridae ed è costituito da un involucro sferico il cui diametro è pari a 50-60 nanometri (1 nanometro o 1 milionesimo di millimetro) e al cui interno è contenuto il materiale genetico necessario a costruire i componenti della particella virale e a consentirne la maturazione e replicazione.

L’HCV è in grado di sopravvivere nell’ambiente anche per diverse ore e purtroppo è in grado di sfuggire alle difese dell’organismo grazie alla capacità di modificare rapidamente i propri componenti, ossia le proteine dell’involucro. Sono noti almeno sei sottotipi del virus dell’epatite C, ciascuno dei quali risponde in maniera diversa alle terapie antivirali.

Il virus colpisce circa il 3% della popolazione del pianeta e si stima che ogni anno si aggiungono 3-4 milioni di nuovi casi ai 170 milioni di individui già infetti. Particolarmente elevata è la presenza dell’HCV in Egitto e Camerun. In Italia gli ammalati di epatiteC sono circa un milione.

L’HCV, da solo o in combinazione con altri fattori quali alcol o virus dell’epatite B, è il maggior responsabile di cirrosi e di tumore del fegato e causa migliaia di decessi ogni anno. In alcuni e ristretti gruppi di popolazione ad alto rischio è possibile riscontrare una percentuale elevata di co-infezione HIV/HCV.

In passato le principali fonti di infezione erano le trasfusioni di
sangue e l’impiego di strumenti non correttamente sterilizzati,
quali per esempio le siringhe di vetro senza aghi a perdere. Attualmente
i controlli su donazioni di sangue ed emoderivati nonché
l’impiego di materiale monouso hanno pressoché azzerato
queste modalità di contagio.

L’ attenzione, ora, si è spostata su altri fattori o procedure che possono provocare il contagio, tra cui: piercing e tatuaggi eseguiti in luoghi non idonei, trattamenti estetici eseguiti con materiali non monouso e non sterilizzati, cure odontoiatriche eseguite in ambiti non idonei, interventi ambulatoriali di piccola chirurgia, esami endoscopici eseguiti con materiale non sterilizzato adeguatamente, e lo scambio di siringhe tra i tossicodipendenti. Il pericolo di contagio sussiste anche in presenza di attività sessuali con partner multipli e concomitante assenza di precauzioni.

In gravidanza le possibilità di trasmettere l’infezione al nascituro sono rare (inferiori al 5%). In coppie stabili e monogame il contagio è virtualmente assente. Tuttavia è buona prassi rivolgersi al proprio medico di fiducia per ricevere un corretto counselling. L’HCV non si trasmette attraverso baci, carezze, per via aerea (tosse), condividendo gli stessi spazi o usando le stesse stoviglie.

Il periodo di incubazione oscilla da 2 settimane a 6 mesi, ma per lo più è di 6-9 settimane. In oltre i due terzi dei casi l’epatite C decorre in modo asintomatico. Quando presenti, i sintomi sono per lo più rappresentati da nausea, vomito, febbre, dolori addominali e ittero. Soltanto nello 0,1% dei casi l’HCV dà luogo a una forma fulminante fatale, mentre l’85% degli individui infettati sviluppa un’epatite cronica C, che nel 20-30% di essi si evolverà nell’arco di 10-20 anni in cirrosi. Quest’ultima è una condizione di rischio per la comparsa di tumore maligno del fegato (epatocarcinoma).

La coesistenza dei virus HIV e HCV accelera la progressione della malattia ed in gravidanza aumenta di 4-5 volte il rischio di infezione al nascituro.

Attualmente diagnosticare in fase precoce l’infezione da epatite C consente di guadagnare tempo prezioso e adottare con la massima tempestività le cure necessarie, ottimizzandone l’efficacia.

Un percorso diagnostico standardizzato conduce alla diagnosi di epatite cronica da HCV:

Scoperta degli anticorpi. Esame anti-HCV (individuazione degli anticorpi al virus HCV). Recentemente si è reso disponibile un dispositivo molto comodo da usare, un test effettuato sulla saliva che in pochi minuti offre una risposta rapida ed affidabile per stabilire la presenza di anticorpi anti-HCV (il contagio non si trasmette con gli anticorpi).

Scoperta del virus. Esame HCV RNA, qualitativo e quantitativo che rispettivamente indicano la presenza del virus e il suo livello nel sangue.

Genotipizzazione. La classificazione del virus all’interno delle tipologie note (1-6).

Funzionalità del fegato. Transaminasi, γGT, bilirubinemia, fosfatasi alcalina LDH.

Stadiazione della malattia. Ecografia del fegato o fibroscan (strumento che indica l’ispessimento del fegato). In alcuni casi biopsia epatica.

L’approccio terapeutico per curare l’epatite C prevede la somministrazione di specifici farmaci antivirali che sono prescritti da uno specialista in malattie infettive, in epatologia e/o in gastroenterologia. Durante il trattamento, che può variare dalle 8 alle 48 settimane, il paziente deve essere costantemente monitorato per verificare l’efficacia della terapia e l’eventuale comparsa di effetti collaterali.

L’impegno dei nuovi farmaci ad attività antivirale diretta consente di eradicare l’HCV nella quasi totalità dei pazienti trattati.

Prevenzione-HCV

La prevenzione della trasmissione dell’infezione si basa sui seguenti presupposti:

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Ambito familiare. Evitare l’uso condiviso di oggetti personali appuntiti e/o taglienti, es. forbici, rasoi, tagliaunghie, spazzolini da denti.

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Ambito sanitario. La sterilizzazione adeguata degli strumenti chirurgici riutilizzati e l’applicazione delle più comuni norme di igiene e sicurezza (lavaggio delle mani, corretta manipolazione e smaltimento dei materiali potenzialmente infetti, disinfezione ambientale).

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Ambito sociale. Usare adeguate misure di prevenzione
(condom o altro) nei rapporti sessuali a rischio.
Impiegare materiali monouso per i trattamenti estetici (tatuaggi, piercing, manicure, pedicure, ecc.).
In alternativa usare oggetti personali. Gli oggetti non monouso vanno sempre sterilizzati adeguatamente.

contatti

I.R.C.C.S.
Ospedale San Raffaele

Clinica di Malattie Infettive.

Centro San Luigi
San Raffaele Turro.

Palazzina B,
Via Stamira D’Ancona, 20
20127 Milano

Prenotazione visite ambulatoriali
Tel. 02 26437961

malattie.infettive@hsr.it

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Centro Diagnostico
Italiano SpA

Via Saint Bon, 20
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Tel. 02 48317.1
www.cdi.it

Associazione Nazionale
per la Lotta
contro l’AIDS

Via Monviso, 28 – 20154 Milano
Tel. 02 33608680
www.anlaids.org
info@anlaidslombardia.it

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